Nel momento in cui si sottoscrive un contratto preliminare di compravendita o una proposta di acquisto di un immobile, si è soliti versare un anticipo a titolo di caparra. In tal modo le parti si impegnano a concludere il futuro contratto definitivo di compravendita, prevedendo che questo ammontare costituisca una sorta di risarcimento immediato nelle ipotesi di inadempimento o di recesso di una delle parti.

Ma che differenza c’è tra la caparra confirmatoria e quella penitenziale?

La caparra confirmatoria

Cominciamo con una breve panoramica della caparra confirmatoria, la tipologia di caparra più frequentemente utilizzata in ambito contrattualistico immobiliare.

Con la caparra confirmatoria una parte consegna alla controparte una somma di denaro a conferma del vincolo contrattuale assunto. Nel caso in cui il contratto definitivo dovesse concludersi, allora la somma percepita a titolo di caparra sarà oggetto di restituzione o verrà imputata alla prestazione.

Di contro, se la parte che ha concesso la caparra si rende inadempiente, allora la controparte può recedere dal contratto e trattenerla. Nel caso in cui sia inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, allora la parte che l’ha concessa può recedere dal contratto e domandare il doppio di quanto versato.

In ogni caso, è bene ricordare che trattenere la caparra non significa affatto rinunciare alla richiesta di risarcimento del danno o alla domanda giudiziaria per ottenere l’esecuzione in forma specifica del contratto. In altri termini, la parte che è stata lesa dall’inadempimento della controparte potrà segue seguire le ulteriori strade per ottenere la propria soddisfazione.

La caparra penitenziale

Evidentemente diversa è la funzione della caparra penitenziale, equivalente al corrispettivo del diritto di recesso stabilito in via convenzionale tra le parti. Chi sceglie di recedere deve pertanto dare all’altra parte quanto pattuito a titolo di caparra penitenziale, mentre l’altra parte non potrà chiedere null’altro che quanto ricevuto come caparra. È come, in altri termini, se le due parti fin dall’inizio avessero scelto di stabilire che il contratto può sciogliersi pagando un prezzo.

In questo caso la parte adempiente non solamente non può domandare il maggiore danno, ma non può nemmeno richiedere al giudice l’esecuzione del contratto. Tutto ciò che può fare è, come abbiamo già anticipato, trattenere la caparra penitenziale. Rimane inteso che se a cambiare idea è il venditore e, dunque, colui che ha ricevuto la caparra, all’acquirente spetterà il doppio della stessa.

Insomma, a differenza di quanto avviene con la caparra confirmatoria, il recesso non è qui giustificato dall’inadempimento della controparte, bensì dall’esercizio del diritto di “pentimento” rispetto alla conclusione del contratto. La caparra penitenziale costituisce in questi termini il prezzo dell’esercizio di tale diritto, e dovrà essere restituita non appena il recesso non risulti più essere esercitabile.

 

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